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I Caratteri (316 a.C.) di Teofrasto, discepolo di Aristotele e autore di opere di filosofia, logica e fisica che gli meritarono un'indiscussa autorità fino a tutto il medioevo, sono una variopinta galleria di trenta «tipi umani» - fra gli altri, l'adulatore, lo zotico, lo spilorcio, il vanaglorioso, il codardo - descritti con fine penetrazione psicologica e gusto del pittoresco. Sebbene l'aureo libretto sia stato oggetto di letture moraleggianti culminate nella rivisitazione che ne fece Jean de la Bruyère nel Seicento, non è un trattato di etica, ma piuttosto un repertorio retorico di vizi e difetti ad uso dei poeti comici. Ciascun Carattere inizia con una definizione tratta da Aristotele, ma sulla precettistica hanno immediatamente il sopravvento l'arte e la sensibilità scenica: Teofrasto allestisce uno scintillante spettacolo teatrale che offre un efficace spaccato della vita quotidiana nell'Atene del iv secolo a.C., con la brulicante folla del mercato, le botteghe, i bagni pubblici. Nella loro realistica evidenza questi ritratti compongono una commedia umana in cui le miserie sono ridicole piuttosto che pericolose, i personaggi peccano contro l'educazione e il buon gusto più che contro la morale, e il riso è l'unica sanzione del vizio. Introduzione, traduzione e note di Luigi Torracat.
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