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Tra la fine del Novecento e i nostri giorni il susseguirsi di pandemie, crisi economiche e ambientali, rivoluzioni tecnologiche e guerre devastanti hanno mutato la percezione non solo del presente, ma del futuro. L'immaginario distopico, tramite i media, si è fatto pervasivo e dominante, in linea con la concezione postmoderna della «fine della storia» e un nichilismo che spalanca le porte a inedite forme di oppressione e proterve rivincite del «passato che non passa». La nozione di «apocalisse», in questo orizzonte ideologico, quanto più si diffonde e volgarizza, tanto più rescinde ogni legame con la sua origine, che nei testi biblici coniugava l'idea della fine con quella di un nuovo inizio, la catastrofe con la rivelazione. Lo «spirito dell'utopia» di cui parlava Ernst Bloch è così messo al bando, strumentalmente assimilato al totalitarismo, e insieme ad esso liquidata l'intera tradizione del pensiero critico, così come ogni esigenza di emancipazione e giustizia sociale. Come prescrive l'ordine del giorno neoliberista è l'assoluta subordinazione della tecnica al potere economico a dettare l'agenda del pianeta.
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