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Il catalogo generale di Pietro Cascella (Pescara 1921 - Pietrasanta 2008) raccoglie più di mille sculture, oltre a un centinaio fra ceramiche e dipinti, e dà un'idea esauriente della sua opera. Nella sua ricerca il tempo si confonde: la preistoria si interseca con la storia, l'arcaico con il futuro, il primordiale col contemporaneo. Ma si confondono anche i luoghi e le culture perché Cascella ha guardato all'Occidente megalitico, al Mediterraneo prima dei Greci, al gotico francese, al romanico toscano, all'arte azteca, senza smettere di dialogare con i decenni recenti, da Wotruba a Brancusi, da Lipchitz a Léger, dal Picasso e dal Derain primitivisti a Moore. La sua non è un'arte senza tempo, ma un'arte che racchiude tante epoche. Nei suoi monumenti, poi, a cominciare da quello al Martirio dei popoli polacchi e degli altri popoli, 1958-1967, di Auschwitz e dal Monumento a Mazzini, 1970-1974, di Milano, la scultura non è più solo un oggetto plastico ma diventa un luogo da attraversare, un elemento corale. In tutto il suo lavoro, però, Cascella ha sempre rivendicato "l'intelligenza delle mani", cioè il rapporto diretto con il corpo dell'opera. "Mi piaceva l'idea di poter toccare un'idea con le mani", diceva lui stesso, ricordando le ragioni che l'avevano portato a dedicarsi alla scultura.
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