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A partire dagli anni Sessanta, con l'emergere di fenomeni sociali che vanno dalla controcultura agli hippies, fino alle contestazioni studentesche, le e i giovani dell'architettura italiana propongono alternative per manifestare i loro ideali con forme di progetto che rifiutano le consuetudini, sia nella sostanza delle opere, sia nella loro presentazione. Tramite modalità non dissimili da quelle promosse dagli artisti impegnati nella creazione di happening, scenografie e installazioni, anche le mostre di architettura ripensano la loro natura. Le esposizioni accolgono contaminazioni disciplinari che nascono da sperimentazioni didattiche alternative o dalla prefigurazione di possibili futuri per contesti cittadini o agresti. Attraverso l'occupazione di alcuni spazi, la riappropriazione di luoghi urbani o periferici in chiave ecologica e la richiesta di partecipazione delle comunità, vengono ridefinite le modalità di pensare al progetto. Le esperienze delineatesi alla fine degli anni Sessanta persistono nel corso degli anni successivi nonostante il mutamento dell'orizzonte culturale. Ciò che è accaduto a partire dagli anni ottanta, in celebri sedi istituzionali nazionali, con le installazioni a tema affidate a noti architetti italiani e stranieri, ha segnato un capitolo decisivo nella forma dell'enunciazione del progetto d'architettura in continuità con gli strumenti creativi e teorici che erano stati sperimentati nel corso degli anni Sessanta.
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