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Mai come in questo millennio, dice Osho, l'umanità si trova di fronte a un baratro, una realtà con la quale deve fare i conti per risalire dal nulla senza fondo in cui si è lasciata cadere, cullandosi in illusioni e sogni senza fine. E l'unica via per ridestarsi dal sonno e dal torpore è quella di intraprendere un cammino nel Paese del Vero: una cima abissale che Osho tratteggia fino a dare voce a una prospettiva quadridimensionale che dischiude a ciò che lentamente si riesce a percepire come anima, o essenza, per spaziare oltre e al di là dei terribili confini che l'uomo ha imposto a se stesso e alla propria vita. Dopo "Sii felice adesso", Osho torna a commentare il Canto di Ashtavakra: il dialogo tra il mistico indiano, autore dell'omonima Gita, e il re Janaka, suo novello discepolo, che indica la via per giungere alla piena consapevolezza del destino al quale ogni essere umano è chiamato. Come sempre non chiede di chiamarsi fuori o ritirarsi dal mondo. Ma, al contrario, di continuare a stare nel mondo, includendo un esercizio della consapevolezza per rafforzare il centro interiore sul quale porre le fondamenta di un vivere reale e nel Reale. E dà un avvertimento: "Se l'illuminazione potesse accadere solo leggendo Ashtavakra, sarebbe davvero comodo! La lettura di Ashtavakra è forse difficile? I suoi sutra sono chiarissimi e semplicissimi; ebbene, ricordate che il compito più difficile al mondo è comprendere le cose semplici e che le difficoltà nascono da voi stessi".
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