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La crisi finanziaria che ha colpito il mondo negli anni Duemila non è la fine del liberismo. La tesi che innerva la cronologia con cui Federico Ferragni ripercorre la genesi, nel 2002, di quella che a molti è parsa la prova provata del definitivo (e atteso) tramonto del capitalismo, e i suoi successivi sviluppi fino al 2011, è quanto mai provocatoria. Mentre da più parti si gonfia la bolla speculativa di quanti predicano catastrofismo all'insegna di un nuovo 1929, quasi fosse finalmente arrivato il giorno del giudizio, la piana e fattuale esposizione con cui Ferragni traccia la cronologia della crisi analizzandone le tappe principali sgonfia quella speculazione anti-liberista che in questi anni si è come compiaciuta ed ha tratto alimento dalle notizie sinistre che provenivano dal mondo economico-finanziario. La crisi c'è stata ed è stata indubbiamente dura, anche se l'Italia ha iniziato a sentirla proprio a partire dal momento che rappresenta il termine della ricostruzione di Ferragni, ma letti per quello che sono gli eventi attraverso i quali tale crisi si è manifestata appaiono decisamente meno irreversibili rispetto alla narrativa corrente. Ci sono stati errori, certo, ma ci sono anche soluzioni e vie d'uscita possibili, senza perdersi in quel cupio dissolvi di sapore millenaristico che invece si sente ripetere acriticamente ogni giorno. Un primo passo sarebbe una miglior preparazione della classe politica sotto il profilo sia economico che geopolitico.
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