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Editore: AGA Editrice
Reparto: Storia d'europa
ISBN: 9788893551632
Data di pubblicazione: 22/07/2020
Numero pagine: 153
Traduttore: Fanelli A.
Collana: Crescamus
Nella "Divae Virginis Insulanae Cupersanensis historia" il Tarsia delinea le tappe e i momenti evolutivi del complesso isolano: parte innanzitutto dalla costruzione della chiesa sovrastante la grotta, secondo una remota e diffusa prassi cristiana dopo ogni inventio sacra, passa poi all'annesso convento, registrandone le testimonianze epigrafi che tuttora presenti; si limita a citare soltanto quelle archivistiche, che potevano leggersi al suo tempo perché custodite nell'archivio ecclesiastico cittadino, oggi purtroppo dolorosamente perdute; s'indugia poi a lungo sul primo committente nonché principale mecenate, il conte Giulio Antonio Acquaviva d'Aragona, per passare, dopo un fugace cenno sui secenteschi discendenti di costui, ad Andrea Matteo, illustre conte e letterato; esalta infine la fervorosa presenza francescana dei minori osservanti, detti anche zoccolanti, e in particolare l'umile e luminosa figura del beato Giacomo da Bitetto. Fin qui sul piano storico nulla di nuovo, o almeno molto poco, che non ci sia noto attraverso altre fonti, comprese quelle tarsiane. Ulteriore luce invece ci proviene riguardo alla devozione popolare conversanese di bere le gocce stillanti dalla grotta (la cosiddetta manna) o di ungersi con l'olio delle lampade ardenti dinanzi alla venerata immagine - prassi anch'essa peraltro diffusa in altri luoghi e documentata dall'autore -, e ancora riguardo agli illustri ecclesiastici, innamorati frequentatori del sacro luogo: il vescovo conversanese Paolo de Turculis - ora ci spieghiamo la presenza del suo epitaffi o nella chiesa isolana -, il vescovo di Larino Giovan Tommaso Eustachi e l'oratoriano Donato Antonio Martucci, zio materno dell'autore. Ma quest'historia tarsiana, se sviluppa gli elementi storici, tende tuttavia a trascenderli, diventando un componimento per un verso letterario e per l'altro soprattutto religioso. L'accademico napoletano, padroneggiando con disinvoltura una lingua latina classica ed aulica, non priva di ricercatezze stilistiche (particolarmente frequente l'uso dell'anastrofe, dell'apostrofe, dell'endiadi, dell'iterazione, della metafora, della metonimia, della paralessi e della sineddoche) e lessicali (alcuni lemmi d'origine greca), dà al suo componimento un tono letterario, che tende spesso a soverchiare il dato storico, realizzando, per così dire, un'opera letteraria di contenuto storico.
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