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Da troppi anni, la "voce" della pace sembra divenuta flebile nel mondo contemporaneo rispetto alla "voce", sempre più forte e apparentemente autorevole, della guerra. Tutte le guerre sembrano assolutamente giustificate e legittimate sulla base di argomentazioni e motivazioni contingenti e apparentemente convincenti. Le guerre sembrano divenute una "scorciatoia" per la risoluzione di controversie tra paesi o tra popoli. Al contrario, i valori morali ed etici che sostengono la pace e le "strade" e gli strumenti per realizzarla sembrano affievolite nel panorama del dibattito internazionale, anche in Occidente. Il "seme" della pace sembra non destinato mai a crescere ed irrobustirsi, in un quadro in cui la guerra, con le sue conseguenze in termini di morti e di distruzione, nonché di lacerazione dei legami tra i popoli, sembra divenuta l'unico dogma di riferimento. Le spese militari crescono mentre la capacità istituzionale e diplomatica di interpretare anticipatamente i segnali di un peggioramento delle relazioni tra gli Stati e, quindi, di prevenire le guerre si è indebolita, a fronte di nuovi nazionalismi, di nuovi spazi geo-politici di influenza e di nuove contrapposizioni.
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