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Il processo era finito rapidamente, solo il secondo giorno dal suo inizio, cioè quella farsa ridicola di processo regolare si era concluso, come mi aspettavo, con una condanna a morte; l'accusato era stato riconosciuto colpevole di terrorismo a favore di un Paese straniero, in specie degli Stati Uniti, naturalmente senza prove ma basandosi su supposizioni, su testimonianze pilotate e soprattutto sul fatto che era di nazionalità americana. Le altre accuse, aggressione ai poliziotti e complicità nell'evasione di tre prigionieri, erano vere e il detenuto aveva ammesso la sua colpa perché, essendo stato catturato in flagranza di reato, non aveva potuto negare l'evidenza. Aveva pesato sul giudizio anche il fatto che, in "evidente spregio" alla loro religione, egli portasse al collo una catenina con una piccola croce. A questo punto la colpevolezza era sembrata scontata, senza possibili attenuanti, e la condanna pure. Ora bisognava solo aspettare l'esecuzione e la situazione era poco piacevole, soprattutto per me che ero l'imputato e quindi il condannato; non sapevo né quando mi avrebbero ammazzato, né in che modo, potevo solo fare delle congetture e neppure quelle erano molto piacevoli...
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