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Tanto al singolare quanto al plurale, il "fondamento" sembra essere un sostantivo filosofico solidamente metaforico, eppure esposto come nessun altro al crollo e alla rovina: l'atto del fondare, il porre o gettare le fondamenta di un edificio teorico o sociale capace di sfidare il tempo e le avversità - basti pensare ai miti di fondazione -, rappresenta una delle immagini più abusate nella storia della civiltà umana, in particolare di quella occidentale. Eppure, proprio perché indicano l'insieme dei principi assoluti (fondanti perché sfuggenti alla causalità, assurdamente contingenti), i fondamenti non sono soltanto criticabili, ma intrinsecamente friabili e franosi, s-fondabili perché essenzialmente già sfondati, fagocitati dalle profondità abissali del pensiero. Si direbbe anzi che l'intero plesso logico-metaforico del fondamento nasconda un dinamismo perverso e autolesivo, che investe tanto la filosofia (con le cosiddette scienze umane) quanto la sua apparentemente granitica gemella, la matematica (con le cosiddette scienze dure): impegnate da più di un secolo in uno sforzo riflessivo e decostruttivo consistente nell'erodere i principi fondamentali nell'atto stesso di enunciarli.
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