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Ventidue anni, belle gambe, occhi neri e un chiaro accento straniero, Clara Lovchen fa il suo ingresso al numero 506 della Trentacinquesima Strada. Incurante dello sguardo ammirato di Archie Goodwin e di quello accigliato di Nero Wolfe, dice di venire dal Montenegro e di lavorare sulla Quarantottesima, da Nikola Miltan, scuola di danza e di scherma. Aggiunge poi di trovarsi al cospetto del detective, così celebre in Montenegro, non per una faccenda sua, ma per conto di Neya Tormic, la ragazza con cui lavora, venuta come lei in America non molto tempo fa. Non è un impiccio da poco quello in cui l'amica si è venuta a trovare. Uno degli allievi di scherma, un uomo di mezza età, grasso e ricco, un certo Nat Driscoll, la ha accusata di aver frugato nelle tasche della sua giacca e di aver rubato dei diamanti che lui teneva in una di quelle scatolette in cui si conservano le pillole. Mr. Driscoll esige che i diamanti gli vengano immediatamente restituiti. Ma Neya è innocente... e Wolfe deve aiutarla. Deve farlo perchè Neya Tormic è... sua figlia. Opera in cui Rex Stout, da gran narrator qual è, procede, come scrive Diego De Silva nella prefazione a questa edizione, «per allusioni, bocconi di racconto», Nero Wolfe e sua figlia intriga col suo chiaro invito al lettore a «intuire e ricomporre, ricostruendo motivazioni e retroscena, svelando infingimenti e menzogne: in un certo senso, collaborando all'indagine».
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